Per chi non fosse troppo addentro ai termini “tuffistici”: D.D. e’ l’abbreviazione di “degree of difficulty” ovvero coefficente di difficolta’.
Da sempre esiste nel “mondo” dei tuffi un dibattito tra due – come minimo – scuole di pensiero, che si potrebbe semplificare così: e’ meglio portare in gara tuffi ad alto coefficente di difficolta’ (e si intende sopra il 3.1) con l’idea di ottenere molti punti, oppure andare sul sicuro e fare tuffi magari “piu’ facili” (si parla sempre minimo di 3.0), ma eseguiti in maniera pressocche’ perfetta?
La mia e’ una riflessione che va avanti da molto tempo, da quando ero atleta e continua ancora oggi che sono un allenatore, e questa mattina, dopo essermi ri-visto la finale di Sydney 2000 mi sono posto nuovamente la stessa domanda.
Qui due video della stessa finale di due ottimi atleti:
Qual’ è la strada giusta da seguire?
Rispetto al 2000 i tuffi sono cambiati ancora di piu’, si sono evoluti in maniera incredibile, specialmente in campo maschile, ed il livello tecnico e’ salito vertiginosamente: ormai in una finale “mondiale” sono in pochi a non eseguire il quadruplo e mezzo avanti, il triplo e mezzo rovesciato e almeno due tuffi con avvitamento da minimo 3.3. di difficolta’.
La risposta sembrerebbe quindi ovvia: evolviti o muori.
Ma secondo la mia (umile) opinione non esiste la “formula perfetta”: alla fine, banalmente, vince chi fa piu’ punti, che li faccia con tuffi difficilissimi o no. Un buon esempio, oltre a Dimitri Sautin che con i suoi “tuffi facili” nel 2008 arrivo’ nei primi 5 atleti alle Olimpiadi di Pechino, è il giapponese Ken Terauchi, tuffatore che ha sempre ricercato la perfezione e che quando ha provato a fare “il salto” ha fallito.
Arrivare a fare tuffi “difficili” e’ un percorso lungo e la loro buona riuscita, secondo me, dipende da molteplici fattori:
- Un allenatore capace.
- Un atleta volenteroso.
- Una piscina all’altezza (tempi, spazi e attrezzature).
- Una palestra all’altezza (tempi, spazi e attrezzature).
- Una famiglia all’altezza.
Inoltre prima di portare un “tuffone” in gara bisognerá prima averlo stabilizzato: un conto é farlo, un’altra storia é farlo bene!
Noi abbiamo tutto questo? Se non lo si ha il “percorso” si allunga , alle volte diventa addirittura “impercorribile”…
Un allenatore potrebbe anche “lanciare” i propri atleti, farli buttare a provare tutti i tuffi piu’ tosti del mondo, con la speranza che prima o poi il tuffatore riesca a farli bene, ma e’ eticamente e sportivamente corretto e sopratutto “sano” per l’atleta in questione?
Non e’ mia intenzione fare polemica, e’ solo voglia di sentire opinioni diverse dalla mia, idee, pensieri… Insomma di creare un po’ di dibattito!
A voi la parola!